Madre condannata al risarcimento

Il Tribunale di Roma condanna al risarcimento del danno la madre accusata di aver denigrato il marito agli occhi del figlio

LA NOTIZIA  – COMMENTO – PRECEDENTI

***

LA NOTIZIA

Con sentenza n. 18799/2016 del 11.10.2016, la prima sezione civile del Tribunale di Roma ha condannato una madre, di cui il marito lamentava la condotta denigratoria, al risarcimento del danno, quantificato, in via equitativa, in € 30.000.

Il procedimento di separazione giudiziale che ha originato la sentenza, aveva ad oggetto un’articolata situazione familiare. Il padre, infatti, aveva un buon legame affettivo con  i due  figli maggiorenni che frequentava regolarmente. L’ultimo figlio, minorenne, invece rifiutava la frequentazione con il genitore e manifestava, nei suoi confronti, un profondo risentimento.

La situazione era resa ancora più complessa dal fatto che il figlio minore era affetto da gravi problematiche di ordine fisico le quali, a detta del Tribunale, avevano contribuito ad accrescere la convinzione del ragazzo di essere rifiutato dal padre, noto per le sue prestazioni sportive.

Il minore aveva inoltre sospeso il percorso psicoterapico imposto dal Tribunale.

Dunque, sebbene il Tribunale non abbia imputato alla madre di essere la causa scatenante di un processo di alienazione nei confronti della figura paterna, avendo da sempre la signora XXX lasciato che i ragazzi frequentassero liberamente l’ex coniuge addirittura e delegato al medesimo […] il progetto educativo dei minori, tuttavia ha chiarito che ciò nondimeno la signora XXX non può ritenersi esente da responsabilità non avendo posto in essere alcun comportamento propositivo per tentare di riavvicinare YYY al padre risanandone il rapporto nella direzione di un sano e doveroso recupero, necessario per la crescita equilibrata del minore già gravemente sofferente a causa della patologia da cui è affetto sin dalla nascita, ma al contrario continuando a palesare la sua disapprovazione in termini screditante nei confronti del marito.

Secondo il Tribunale di Roma, infatti, sarebbe stato, per contro, precipuo onere di costei, quand’anche non direttamente responsabile delle origini del processo di triangolazione, attivarsi al fine di consentire il giusto recupero del ruolo paterno da parte del figlio che, nella tutela della bigenitorialità cui è improntato lo stesso affido condiviso, postula il necessario superamento delle mutilazioni affettive del minore da parte del genitore per costui maggiormente referenziale nei confronti dell’altro, non soltanto spingendolo verso il padre, anziché avallando i pretesti per venir meno agli incontri programmati, ma altresì recuperando la positività della concorrente figura genitoriale nel rispetto delle decisioni da costui assunte e comunque dalle sue caratteristiche temperamentali.

Pertanto, secondo il giudice della separazione, deve trovare applicazione, nei confronti della madre, il meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 709 ter c.p.c., la cui applicabilità è già stata univocamente ritenuta da questo Tribunale (cfr. per tutte la pronuncia resa in data 8.3.2013 nel procedimento n.r.g. 81370/2008), in ragione della sua natura punitiva o comunque improntata, sotto forma di dissuasione indiretta, alla cessazione del protrarsi dell’inadempimento degli obblighi familiari […].

COMMENTO

L’entità del risarcimento del danno e l’esplicita ammissione da parte del tribunale che la donna è comunque colpevole, indipendentemente dal fatto che sia direttamente responsabile delle origini del processo di triangolazione, inducono non poche perplessità.

La locuzione “responsabilità diretta del processo di triangolazione” tradotta in termini semplificati significa che la madre è parte attiva nella relazione “madre-figlio-padre” (triangolazione) e diventa causa del rifiuto o delle difficoltà relazionali fra il padre e il figlio.

In altre parole la madre si adopera per ostacolare formalmente e sostanzialmente il rapporto con il padre e, qualora ciò si verificasse, sarebbe davvero un comportamento da sanzionare in quanto l’armonia dei rapporti con entrambi i genitori sono una risorsa importante per ogni figlio.

Nel caso specifico però il Giudice sembra voglia attribuire alla madre una sorta di responsabilità aggravata se non oggettiva, basata sul fatto che la madre avrebbe dovuto attivarsi al fine di consentire il giusto recupero del ruolo paterno da parte del figlio.

Questo ragionamento pare viziato da una visione parziale e distorcente in quanto imputa alla madre, in via generica e astratta, omissioni che concretamente non vengono individuate, avallando in questo modo una responsabilità in via pregiudiziale, solleva allo stesso tempo il padre da personali responsabilità o criticità che, invece, avrebbero potuto offrire elementi valutativi importanti, ma soprattutto concepisce il figlio come un oggetto privo di autonoma sensibilità, volontà relazionale, affettività e carattere.

Il diritto all’ascolto viene sempre più spesso vanificato da una visione adultocentrica del diritto che colloca sistematicamente al centro di ogni ragionamento i desideri, idiritti, le frustrazioni dell’adulto in ordine all’oggetto bambino al quale viene  conteso da “parti processuali” colpevoli di manipolarne la psiche.

Questa visione, sempre più irrealistica e anacronistica, utilizza malamente il diritto alla bigenitorialità come interesse particolare del genitore; sulla scorta quindi del principio che le madri hanno maggiore influenza sui figli (nella sentenza: genitore per costui maggiormente referenziale nei confronti dell’altro) si tende ad imputare alle donne colpe che non hanno e comportamenti mai osservati in quanto è loro dovere “normalizzare” “educare”  “convincere” i figli a rispettare, frequentare, amare, gratificare padri posti in una posizione di attesa e rivendicazione.

Che, in una separazione difficile, un genitore possa malamente influenzare un figlio e porlo in contrapposizone verso l’altro genitore può succedere e sono comportamenti da evitare e sanzionare, ma sono casi molto più rari di quanto si pensi.

La campagna mediatica, che si risolve in ingiusti provvedimenti sanzionatori nella disciplina dei casi concreti, che ci vuole convincere che moltitudini di madri manipolino i loro figli per indurli a rifiutare il padre non solo non ha alcun fondamento statistico e scientifico, ma è una forma di violenza e di discriminazione verso le donne e verso i bambini.

PRECEDENTI

Trib. Roma Sez. I, Sent., 27.06.2014

Cass. civ. Sez. I, 08.04.2016, n. 6919

Cass. civ. Sez. I, 20.03.2013, n. 7041



Trib. Roma Sez. I, Sent., 27.06.2014

[…] una volta introitata da parte dalla figlia la propria visione ostile del YYY ogni decisione o proposta del quale diventa perciò incondivisibile, sarebbe stato precipuo onere di costei (ndr. della madre), quand’anche non direttamente responsabile delle origini del processo di triangolazione, attivarsi al fine di consentire il giusto recupero da parte della figlia del ruolo paterno che nella tutela della bigenitorialità cui è improntato lo stesso affido condiviso postula il necessario superamento delle mutilazioni affettive della minore da parte del genitore per costei maggiormente referenziale nei confronti dell’altro, non soltanto spingendola verso il padre anziché avallando i pretesti per venir meno agli incontri programmati, o peggio ancora facendosi portatrice di programmi alternativi al fine di dissuadere indirettamente la figlia a recarsi agli incontri suddetti, ma altresì recuperando la positività della concorrente figura genitoriale nel rispetto delle decisioni da costui assunte e comunque nelle sue caratteristiche comportamentali […] ancorché non possa negarsi come la rigidità paterna abbia contribuito, con condotte improntate ad un diniego volto ad esigerne l’affettività, all’instaurazione di un clima di tensione con la figlia […].

Tuttavia mentre il sistema delle astreintas deve essere prescritto al fine di assicurare la puntuale osservanza, che comporta la imprescindibile collaborazione della madre, del progetto di recupero psicoterapeutico dei rapporti tra ZZZ e il padre […] comminandosi alla ricorrente una sanzione di € 150,00, da corrispondersi al resistente per ogni singola violazione delle prescrizioni e mancato accompagno della ragazza alle sedute fissate dallo psicoterapeuta, non si ritiene, per contro, che il meccanismo di cui all’art. 614- bis c.p.c. possa essere adottato per l’ipotesi del mancato rispetto degli incontri con il padre, avuto riguardo sia alla circostanza che allo stato la negativizzazione della figura patena è stata già assimilata da ZZZ […] sia alla natura personale degli obblighi di natura familiare.

Deve per contro trovare applicazione nei confronti della XXX, attesa la sua condotta volta ad ostacolare il funzionamento dell’affido condiviso con gli atteggiamenti sminuenti e denigratori della figura paterna, tali da avere indirettamente indotto la ZZZ, a disattendere il calendario degli incontri con il padre ed in misura ancor più marcata e comunque diretta a contrastarne aprioristicamente il contributo decisionale senza neppure coinvolgerlo in buona parte delle risoluzioni concernenti l’educazione, l’istruzione e la crescita della figlia, il meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 709 ter c.p.c., la cui applicabilità è già stata univocamente ritenuta da questo Tribunale (cfr. per tutte la pronuncia resa in data 8.3.2013 nel procedimento n.r.g. 81370/2008).

Cass. civ. Sez. I, 08.04.2016, n. 6919

Qualora il genitore non affidatario o collocatario, per conseguire la modifica delle modalità di affidamento del figlio minore, denunci l’allontanamento morale e materiale di quest’ultimo, attribuendolo a condotte dell’altro genitore, a suo dire espressive di una Pas (sindrome di alienazione parentale), il giudice di merito (prescindendo dalla validità o invalidità teorica di detta patologia) è tenuto ad accertare, in concreto, la sussistenza di tali condotte, alla stregua dei mezzi di prova propri della materia, quali l’ascolto del minore, nonché le presunzioni, ad esempio desumendo elementi anche dalla eventuale presenza di un legame simbiotico e patologico tra il figlio ed il genitore collocatario, motivando quindi adeguatamente sulla richiesta di modifica, tenendo conto che, a tale fine, e a tutela del diritto del minore alla bigenitorialità ed alla crescita equilibrata e serena, tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali del figlio con l’altro genitore, al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa su quest’ultimo (nella specie, la Suprema corte ha cassato la decisione di merito che, pur in regime di affidamento condiviso, aveva confermato il divieto di incontri del padre, non collocatario, con la figlia minore, preadolescente, in ragione del rifiuto da parte di quest’ultima, senza procedere agli accertamenti richiesti da tale genitore, che lamentava l’insorgenza di una Pas, determinata dalla madre collocataria).

Cass. civ. Sez. I, 20.03.2013, n. 7041

Nei giudizi in cui sia stata esperita c.t.u. medico-psichiatrica (nella specie, allo scopo di verificare le condizioni psico-fisiche del minore e conclusasi con un accertamento diagnostico di sindrome da alienazione parentale), il giudice di merito, nell’aderire alle conclusioni dell’accertamento peritale, non può, ove all’elaborato siano state mosse specifiche e precise censure, limitarsi al mero richiamo alle conclusioni del consulente, ma è tenuto – sulla base delle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti e ricorrendo anche alla comparazione statistica per casi clinici – a verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale e che risulti, sullo stesso piano della validità scientifica, oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale, dovendosi escludere la possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare. (Cassa con rinvio, App. Venezia, 02/08/2012)